Resistenza, sfida, ribellione, sfiducia.
Risentimento, rabbia, ostilità.
Aggressione, vendetta, ritorsione.
Mentire, nascondere i propri sentimenti.
Biasimare, spettegolare, deridere.
Dominare, imporsi, intimidire.
Bisogno di vincere, paura di perdere.
Cercare alleati contro gli insegnanti.
Sottomissione, obbedienza, remissività.
Adulazione, seduzione.
Conformismo, mancanza di creatività, paura delle novità.
Introversione, evasione, sognare ad occhi aperti, regressione.
Questo elenco racchiude le emozioni e i meccanismi di difesa e adattamento che si sviluppano in conseguenza all’uso del potere in una relazione.
Quante corrispondono a ciò che hai segnato durante il laboratorio svolto pochi giorni fa?
Probabilmente molte. È probabile che, leggendo, assocerai ad un’emozione alcune sensazioni che hai provato, ma alle quali non sei riuscita a dare un nome preciso.
In sostanza cosa intendiamo parlando di reazioni al potere e meccanismi di adattamento?
Possiamo riassumere in tre macroaree le conseguenze ricorrenti:
LOTTA, FUGA, SOTTOMISSIONE.
Andiamo ad approfondirle nello specifico.
LOTTA
In questa categoria rientrano i seguenti comportamenti: difendersi, contrapporre potere al potere, persuadere, aggressione attiva e passiva.
Spesso i comportamenti aggressivi non fanno altro che generare comportamenti altrettanto aggressivi nell’altro. La cronaca, la letteratura, la cinematografia, studi psicologici e l’esperienza stessa, hanno messo in rilievo come persone che hanno subito maltrattamenti da bambini finiscono per maltrattare l’altro, spesso addirittura i propri figli.
Perché? Perché quando qualcuno usa il suo potere su di me, mi sento frustrato; e spesso la frustrazione porta a reagire aggressivamente.
Se partiamo dal presupposto che il miglior canale attraverso cui il bambino apprende è l’esempio, questo vale anche in negativo: l’insegnante usa il potere contro il bambino, il bambino risolve i suoi conflitti nel campo di gioco usando il potere (es. lottando, azzuffandosi).
I soggetti che reagiscono all’uso del potere lottando possiamo identificarli, per esempio, negli adolescenti ribelli o nei bambini oppositivi, solo per citarne alcuni.
FUGA
Questa categoria comprende tutti i comportamenti di fuga sia fisica che psicologica.
Per sfuggire al potere oppressivo degli adulti, per esempio, alcuni ragazzi, appena possono abbandonano la scuola o addirittura scappano di casa.
Allo stesso modo non è meno importante la strategia che la psiche trova per sfuggire all’abuso di potere subito, costruendosi vie di fuga attraverso l’abuso di alcol o l’uso di droghe.
A volte anche la bugia può essere una fuga. Dire bugie può essere un tentativo di evitare conseguenze sgradite.
In questi ambiti possiamo anche inserire il dramma della malattia mentale e per quanto difficile da accettare, anche il suicidio è talvolta l’unica via percepita per liberarsi dall’oppressione. È la fuga finale!
SOTTOMISSIONE
La sottomissione ha come effetti la perdita della stima di sé, il non riconoscimento del proprio valore e gradualmente porta all’autoconvinzione di non essere più in grado di poter modificare una situazione lesiva.
Arrendersi, conformarsi, assoggettarsi al potere. La persona remissiva rinnega il proprio valore e i propri bisogni e spesso utilizza l’adulazione come strumento per tenere sotto controllo il potere agito su di sé e quindi arginare i suoi effetti. L’adulatore però è falso e nella sua dimensione di non autenticità, cova un forte risentimento.
Generalmente coloro che si sottomettono tendono a fare solo ciò che viene loro richiesto e niente di più. Lavorano solo per le ricompense e non hanno il controllo delle loro vite.
A tal proposito vi offriamo la storiella dell’elefante incatenato.
“Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali. Ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini. Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… Ma dopo il suo numero, e fino a un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato a un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire. Era davvero un bel mistero. Che cosa lo teneva legato, allora? Perché non scappava?
Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell’elefante. Qualcuno di loro mi spiegò che l’elefante non scappava perché era ammaestrato. Allora posi la domanda ovvia “Se è ammaestrato, perché lo incatenano?”. Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.
Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto, e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda.
Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio da trovare la risposta giusta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.
Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato al paletto. Sono sicuro che, in quel momento, l’elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel tentativo di liberarsi. Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui.
Lo vedevo addormentarsi sfinito, e il giorno dopo provarci di nuovo, e così il giorno dopo e quello dopo ancora… Finché un giorno, un giorno terribile per la sua storia, l’animale accettò l’impotenza rassegnandosi al proprio destino.
L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché, poveretto, crede di non poterlo fare. Reca impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata subito dopo la nascita. E il brutto è che non è mai più ritornato seriamente su quel ricordo. E non ha mai più messo alla prova la sua forza, mai più…”
J. Bucay – Lascia che ti racconti, storie per imparare a vivere.